Non serve sempre scrivere qualcosa. Ma è un po’ che non scrivo e ho un casino in testa.
Ci sono avventure che quando le vivi non te le aspetti e ti travolgono come un fiume in piena, mentre tu sei sul suo letto a prendere il sole. Questa è stata Translagorai l’anno scorso: ero li per assecondare i sogni di un Orso, aiutarlo come lui aveva aiutato me, condividere con lui un’avventura l’ennesima, nostra avventura. Ed è stato tutto fuorché “nostra”. Il fiume carico mi ha travolto, lanciandomi in un viaggio di 24h intenso, immenso, con persone che non conoscevo, stretti uno all’altro, a condividere i km degli altri e a fare assistenza. Mi aspettavo più o meno la stessa cosa quest’anno, nonostante la decisione di viverla assieme ancora, io e l’orso, ma dall’altro lato della partenza.
Quest’anno Translagorai non è stata un fiume in piena, ma un viaggio consapevole, calibrato. Un viaggio da osservatore. Un Viaggio iniziato prima di iniziare, con una foto di Enrico impegnato nel suo tentativo di Translagorai Out&Back: una foto di uno Scanavin che cammina in discesa, un po deluso e consapevole che non ci sarebbe stato un Back, che un’attraversata vissuta da solo è più dura di quanto si possa immaginare. Io non lo so, lo immagino, guardandolo poi seduto sull’asfalto, in disparte solo con una birretta. Credo sia questo il suo pensiero.
Dopo la partenza, al parcheggio della Panarotta siamo rimasti in molti e quel vuoto che ho sentito l’anno scorso, si è subito cancellato. Seduti sull’asfalto, con uova pane e salame, abbiamo chiacchierato, discusso, parlato, siamo rimasti in silenzio ad assaporare il tramonto che con gli ultimi raggi illuminava il Fravort.
Si potevo correrla. Forse.
Ma ci ho pensato tanto. Prima credevo di non essere pronta, poi avevo paura, poi mille scuse. Alla fine ho deciso di non correrla. Il perché in realtà non lo so. So solo che non riuscivo ad immaginarla, a pre visualizzarla come faccio di solito. Non riuscivo a immaginarmi tra quei sassi, a richiamare quella sensazione di smarrimento, inadeguatezza, che quei sassi mi provocano quando sono lì. Mi son pentita? No.
Al Manghen qualcuno ha detto : “Tu stai facendo assistenza all’assistenza…” e un pò forse è vero. Me ne sono rimasta fuori quest’anno, lontano, ho lasciato davanti gli altri e da dietro un 50mm ho cercato di vedere cosa poteva essere per me Translagorai. Io che di Lagorai non ne volevo sapere. Ora, son qui a cercare di capirlo.
Il banchetto sul passo quest’anno era pieno e fornito e gli arrivi sono stati veloci… troppo veloci. Nel buio di un cielo stellato abbiamo accolto uno a uno, dal primo all’ultimo tutti i corridori, fornendo loro cibo acqua e cazzate, tante cazzate. Marcello alla fine non è arrivato. Dietro al tavolino dell’assistenza quelli che l’anno scorso l’hanno corsa.
Immensamente strano veder gente che corre sul serio, aiutare gli altri a correrla ancora. Immensamente giusto e bellissimo, ma strano. Mi ha fatto pensare che in loro sia maturata la consapevolezza che nessun km è stato regalato sul loro viaggio attraverso il Lagorai, e che in questo viaggio anche chi non ha corso ma li ha coccolati, sia servito per arrivare a compimento del loro progetto. Perché forse Translagorai è anche questo: la consapevolezza che la condivisione, oltre a rendere bella un’avventura la arricchisce anche di un vissuto che poi diventa comunitario, condiviso appunto. Non so spiegarlo.
Quel che sia non lo so, so che al Manghen eravamo in parecchi, so che le nuvole correvano via veloci lasciando spazio ad un cielo stellato, so che il fotografo sotto alla croce che era lì per fare le lunghe esposizioni si è pentito di esserci e che quelli che al parcheggio volevano far camporella si son presto resi conto di aver sbagliato notte. La campana ha suonato per ogni corridore, dal primo all’ultimo, le frontali hanno illuminato la strada, qualcuno ha tentato di dormire, ma Luchino ha fatto cambiare loro idea. So che era freddo ma non l’abbiamo sentito, so che abbiamo riempito un sacco di borracce, so che abbiamo testato le maltodestrine con il the e la coca cola con il formaggio.
Al Cauriol invece avevamo i lumini a segnar la via, come una pista di atterraggio. So che ci siamo dati il cambio e anche chi si è ritirato ha poi deciso di rimanere per aiutare gli altri (grandissima Leti). So che la notte era buia buia, che io ero stanca, ma che l’orso mi ha sostituito, forse. Son crollata e ho ripreso contatto al mattino successivo al Rolle.
Il parcheggio del Rolle era pieno, ma era come se il resto del mondo non ci fosse e ci fossimo solo noi e quell’arco di legno che non sta mai in piedi. Il cielo era azzurro e il Cimon della Pala era lì a guardarci. Ad ovest il Lagorai, non ci guarda mai nessuno ad Ovest. Noi guardavamo solo lì. So che appena dopo 14h dalla partenza è arrivato il primo (grande Jacopino), rincorso dagli altri. E poi.. so che qualcuno ha detto andiamo verso i laghetti, andiamo incontro a chi sta arrivando, so che mi son messa a ridere pensando che volevo andarci anch’io, ma che star dietro a chi aveva lanciato la proposta era praticamente improponibile per me. Mi han convinto. Sono andata ed è stato bellissimo correre con chi pensavo non avrebbe mai corso con me. E’ stato bellissimo essere lì con qualcuno che conosce il Lagorai come casa sua, chiacchierare e mangiare Haribo in forcella. E’ stato bello vedere che gli altri hanno pazienza se ne val la pena, vedere che gli altri possono aspettarti e capire in cambio di tempo condiviso e vissuto. Che gli altri anche se non han potuto portare a compimento il loro progetto, si son prodigati per sostenere quelli che ancora correvano. E’ stato bello vedere oltre e non fermarsi solo alla prima impressione, ricredersi. E’ stato bellissimo vedere il Loren, perdersi tra i sassi, e scendere imprecando, riempire le sue borracce in forcella e indicargli la strada.
Perché forse, Translagorai è anche questo: tra i sassi ti perdi e ti ritrovi e niente è come te lo aspettavi. Forse, nelle innumerevoli forcelle che separano il Passo Sadole dal Rolle quelli che decidono di correrla alla fine si ritrovano.
Abbiamo accolto in quel parcheggio polveroso tutti, dal primo all’ultimo. E mi son resa conto, come non mi era mai successo prima, che ogni arrivo aveva una storia da raccontare, ogni arrivo aveva un suo motivo, un vissuto che prima di partire era diverso, che attraverso il Lagorai ha cambiato forma. Non ho visto tempi, ore, minuti. Ho visto storie passare sotto ad un arco di legno storto tenuto in piedi da due taniche di acqua. Storie raccontate tra i sassi di un Lagorai che non guarda mai nessuno. Ho visto sorrisi, pianti e qualcuno che riprendeva con il telefonino noi che facevamo il tifo. Ogni arrivo è stato diverso, unico. Ogni arrivo è stato una serie di urla, campane che suonavano e mani pronte ad accogliere. Tutto e solo per un viaggio tra i sassi.
Ho visto il sorriso di Roby ai laghetti del Col Briccon, felice di un viaggio vissuto sereno.
Ho visto le lacrime di Ilaria di un viaggio forse sofferto, ma sostenuto da Milena che l’ha accompagnata senza farla.
Ho visto l’arrivo di Andrea assieme al fratello.
Ho visto genitori aspettare i figli coi cani al guinzaglio.
Ho visto Rigodanza e Enrico andare a prendere gli ultimi e motivarli per farli arrivare sotto le 24h.
Ho visto amici sostenere l’attraversata di altri amici.
Ho visto Amici supportare amici, incitarli a 100 metri dall’arco.
Ho visto persone felici e distrutte. Ma felici.
Ho visto il sorriso di chi è arrivato due minuti dopo le 24h.
Ho visto tanta gente forte fare il tifo a gente meno forte.
Ho visto il Loren fregarmi la sedia un sacco di volte.
Ho visto tante cose belle e le ho fotografate.
E in tutte queste cose che ho visto, ho capito, che io che di Lagorai non volevo sentir parlare, ora di quei sassi mi sto innamorando.
L’anno scorso è stato un fiume in piena, ho conosciuto gente che dubitavo di rivedere poi. E invece, son passati 365gg e quella gente che pensavo di non rivedere oggi li posso chiamare amici. Son passata sotto a quei sassi senza la curiosità di vedere cosa c’era sopra, oggi invece quella voglia di scoprirlo cresce.
Non so se farò mai Translagorai. So però che, se dai tempo al tempo, l’acqua scorre e la roccia si modifica. Che se seguo il flusso forse, tra quei sassi, primo o poi, ci finirò pure io.
Come sempre è un emozione leggerti ❤️
Grazie Simone!!!
Cazzo se la si deve correre!!!!
Sempre complimenti Yle!!
Non so chi sei ma GRAZIE!
Sempre spettacolare leggerti. Grazie dei sorrisi, delle foto e dell’assistenza all’assistenza. Grazie delle merendine d’aereo!
Complimenti, riesci a trasportarci in mezzo a quei sassi con il tuo racconto.
Anche questa è una di quelle storie di cui parli nel tuo racconto, grazie per avela condivisa.