Dall’altra parte
Dall’altra parte

Dall’altra parte

Dall’altra parte di una gara, di un qualcosa che ti metti in testa di raggiungere ci sta sempre qualcun altro. Alla fine gli obbiettivi sono tuoi, ma probabilmente senza chi ti sta affianco non li raggiungeresti. Ogni avventura, nasce e cresce grazie al supporto di chi ti sta vicino, senza il quale probabilmente non andremo da nessuna parte.

Non so se sia per tutti cosi, per me lo è certamente. La mia Ultra Dolomites non sarebbe stata possibile senza l’aiuto di chi mi ha fatto assistenza, di chi mi ha seguito da casa e di chi ha creduto in me prima che io stessa ci credessi. Ripagare ciò che mi è stato donato a giugno era il minimo che potessi fare ed era oltretutto già in programma.

Il dietro le quinte di un’ultra, non molti lo raccontano e io non sono navigata a tal punto da poterne sapere molto, ma nel mio piccolo so essere presente e tra quale “alè alè”, ovetti duri, patate lesse e km corsi qualcosa posso raccontare.

Le chiamano CREW, gruppi assistenza, quelli che supportano ai check point quelli che corrono un’ultra, ciò significa che l’assistenza a chi gareggia è consentito solo in determinati punti della gara e in questi luoghi è possibile offrire appoggio morale, psicologico, fisico, alimentare a quello che corre. Nei punti assistenza, che di solito sono palestre nei pressi di città o paesi a valle, vedi famiglie intere “esserci” per colui o colei che corre: bambini, ragazzi, mamme, papà, mogli, mariti, fidanzate o fidanzati, amici o amiche, coach per i più fortunati che carichi di borse cambiano, puliscono, ricostruiscono zaini e rifocillano quello che ha ben deciso di correre 150k in meno di 44h.

Soprattutto di notte, vedi corridori arrivare come zombie e le loro crew prendersi cura di loro, in palestre che han l’odore di stalle, muovendosi come lo facessero da una vita. Tra i malcapitati c’ero anch’io, partendo da Courmayer avrei dovuto seguire l’orso fino a Chamonix, toccando i vari punti assistenza. In autonomia per scelta, col furgone per avere eventualmente la possibilità di vederlo passare anche in alcuni punti al di fuori dei punti assistenza e potermi cosi godere tutto il viaggio e i panorami che scorrevano veloci dal finestrino. Facile è muoversi dove conosci il tracciato di gara e le strade che lo toccano, più difficile è organizzarsi e farlo dove non conosci assolutamente nulla, nemmeno la lingua.

Seguo la gara dal primo minuto, nelle vie strette e affollate di una Courmayer piena di gente che corre e di gente che assiste chi corre. Corro su e giù per i vicoli, per cercare di seguire il più possibile un orso super carico che parte per questa lunga avventura di 155k e 9400D+.

Andati. Mi concedo qualche ora di sonno, so che non dormirò praticamente mai, perché ho più ansia io che lo assisto di lui che sta correndo, come al solito. Non mi serve nemmeno la sveglia che alle 5:00 sono in piedi e senza caffè, con felpa e berretto, inforco la strada che sale al Piccolo San Bernardo. Non ci sono mai stata e ne conosco l’esistenza solo per averlo letto nei libri di storia: teatro di scontri della seconda guerra mondiale e valico alpino che collega l’Italia alla Francia oltrepassato da Annibale e i suoi elefanti.

Salendo, è buio e non si vede praticamente nulla, il cielo è nero, i versanti di quelli che dovrebbero essere i monti che mi attorniano ancora più neri. Poco sopra La Thuile, noto qualcosa di strano ma familiare: file di lucine veloci che scorrono sul versante della montagna alla mia destra. Salgo veloce e poco prima del passo mi fermo. Scendo dal furgo e a bordo strada mi godo quello che per la prima volta ho visto solo durante l’Ultra Dolomites: è una visione che emoziona se l’hai vissuta, perché sai che nel buio della notte, dove non vedi panorami e a fatica vedi dove metti i piedi non sei solo, ma ci sono altri 1200 folli come te che perseguono un unico obbiettivo personale, sia esso fatto di tempi, emozioni o traguardi.

Tira un’aria gelida ma il cielo è stellato da far paura. Salgo ancora un po’ e arrivo al valico, parcheggio e cerco di capire dove sono. Il fatto di non poter accedere a delle carte topografiche che mi possano aiutare a capire dove sono e da dove arriverà l’orso mi dà parecchia noia: la mia unica risorsa son due cartine 1:50 000 e un’applicazione ben lontana da quella alla quale sono abituata. Mi caccio la frontale in testa e seguo a ritroso le lucine che salgono il valico: il sole sta sorgendo lentissimamente e i suoi raggi cominciano ad illuminare un paesaggio che di certo non mi aspettavo. Prati verdi di alta quota, con guglie nere alle loro estremità, pareti verticali e morbidi pendii, uno specchio d’acqua argenteo, marmotte che fischiano, l’aria gelida che muove l’erba alta colore dell’oro.

Sono sul Colle Piccolo del San Bernardo sulle sponde del Lago di Verney, uno specchio azzurro cielo, incastrato tra verdi pendii e rocce nere. Il sole sta sorgendo piano e lentamente la linea d’ombra si sposta dura e precisa dalla mia parte. Da sotto, una fila ordinata di omini colorati sale, lenta. Tra loro anche un orso.

La notte è andata, quì non posso fare assistenza solo tifo, ma so che conta molto di più di qualsiasi altra cosa: sapere che c’è qualcuno che ti aspetta è la motivazione più grossa per non mollare un colpo, per abbassare la testa in salita e riprendere a correre in discesa. Lo saluto e lo aspetto al primo Punto assistenza a Bourg Saint Maurice. Parcheggio fuori dal centro, c’è il disastro come preventivato, ma ero preparata così mi infilo braghini e canotta, flask piene e zainetto col necessario. Prenderò il sentiero che scende in paese sulla traccia della gara e lo aspetterò sulle vie del centro. Ma è presto e ho fame. Butto su due uova e un po di speck, devo reintegrare. Un caffè alla fine. Ma l’orso è più veloce delle aspettative e passa davanti al furgone quando io vestita e attrezzata ho ancora il caffè in mano. Lancio il caffè, chiudo il furgone e parto veloce, taglio su qualche punto, corro più veloce di quanto possa permettermi e lo anticipo al check-point di qualche minuto.

E’ sereno, stanco ma sereno, carico, ha ancora voglia di scherzare. Come una formichina smonto e rimonto il suo zaino, levo le cose sporche, riempio le flask, aggiungo gel e barrette e vaneggio parlando del prossimo salitone che dovrà affrontare. È il pezzo più duro della gara, due salite impegnative e tecniche, è caldo ma l’umore è alto. Parte veloce, senza troppo pensarci, mi saluta e sa che ci vedremo al prossimo punto assistenza a Beaufort. Ma vorrei provare a raggiungere il Cormet du Roselend, una sorta di passo sull’Alpe del Beaufortain.

Corro a ritroso verso il furgone, passo le vie lastricate e vestite a festa per l’occasione di questo paesello: un gruppo di suonatori di tamburi danno il benvenuto ai corridori che arrivano, suonando ritmi carichi di energia. Raggiunto il furgone mi avvio verso il passo. Una strada stretta si inerpica sul versante destro della valle e sembra entrare a fatica tra crode nere e prati verdissimi. Pareti altissime di ardesia nera, intervallata da verdi pendii, delimitano la lingua nera che sale, veloce, come se corresse sul letto di un tortuoso torrente. Più in alto, le pareti si aprono dando spazio ad una valle verde, ampia, l’Alpe del Beaufortain: un paradiso di pascoli, crode nere, cielo azzurro e ghiacciaio sullo sfondo.

Trovo facilmente parcheggio, aggiungo un libro allo zaino, non posso fare assistenza ma posso tifare e farmi un giro per vedere la meraviglia di questo posto che non conosco. Trovo facilmente il sentiero dal quale scenderanno, gruppi di persone già aspettano i corridori lungo i prati a lato sentiero, con campanacci e coperte colorate. Cammino a ritroso, e mi cerco un posticino dal quale posso vedere quelli che arrivano ma anche tutto quello che ci sta attorno. Mi siedo in alto, lontano dal casino, vicino abbastanza per vedere il sentiero e sentire i campanacci delle mucche al pascolo. Solo più tardi mi avvio verso il Passeur du Pralognan su una comoda forestale che dopo qualche km guada un torrente dall’acqua colore del ghiaccio, diventando una traccia stretta che si inerpica ripiao e veloce sulle preti erbose verticali di un pendio. Risalgo lentamente, senza intralciare i corridori che scendono e presto dall’alto vedo scendere un orso. E’ felice, ride e scherza ancora e mi racconta del valico appena passato, fatto di cordini e catene. Mi sarebbe piaciuto dice. Ci salutiamo al Cormet des Roseland ci vedremo nella notte al penultimo punto assistenza.

Il sole sta scendendo lentamente, la luce calda tinge d’oro tutti i prati: le crode nere non si tingono di rosa, come sono abituata, ma annulla la profondità di campo dipingendo un quadro piatto dai colori vividi e nitidi. Riesco a fatica a descriverlo, i miei occhi non sono abituati a questo tipo di montagna, ma le corde dell’emozione vibrano allo stesso modo: sono sopra i 2000 e anche questa, nonostante non la conosco, è casa. Mi avvio verso il furgo, mi cambio e mangio qualcosa. Lentamente scendo verso Beaufort, la roccia che scorre fuori dal finestrino da nera diventa argentea, fumata, come fosse bruciata. La strada taglia crodoni, corre sui prati e scende a ridosso di pareti altissime, dall’alto un’altro specchio d’acqua riflette la luce dorata del sole che sta scendendo. Pareti verticali cadono dritte sulle sponde del Lac de Roselend, incastonato in questo luogo magico, poco più sotto sale il bosco, il verde diventa più intenso, abeti altissimi prendono il posto fuori dal finestrino e mi accompagnano verso Beaufort, un paesino fatto di vicoli stretti e negozi vintage ai piedi di grandi pendii erbosi.

Attendo l’orso fino a tarda sera e attraversando le vie del paese circondati dal tifo raggiungiamo assieme il punto assistenza, una palestra, calda, afosa e umida, poco profumata e piena di corridori sfiniti e assistenti premurosi. Su un materassino stendo il necessario, rifaccio lo zaino e recupero qualcosa da mangiare dal ristoro. L’orso crolla per qualche minuto di sonno. E’ stanco e comincia a fare la conta dei km e del dislivello per cercare di razionalizzare le energie. Non minimizzo, ci son due belle salite prima dell’ultimo punto assistenza e non saranno facili da gestire con buio, il sonno e la stanchezza, ma il grosso è fatto, basta calare il ritmo e andare avanti. Io non li ho mai fatti 150k, so di non essere credibile e anche l’orso lo sa, ma mi ascolta, alla fine in queste situazioni abbiamo solo bisogno di qualcuno che si occupi di noi perché noi stessi siamo impegnati a pensare all’essenziale. Perché credo sia questo che fa un Ultra: ti riporta all’essenziale, ti spoglia, ti porta a togliere tutto il superfluo fintanto che addosso non ti rimane che quello che conta davvero. E’ in questa situazione che avere qualcuno che ti aspetta ti fa sentire al sicuro, ti dà la carica giusta per rendere palpabile e reale ciò che stai vivendo.

Nel buio, ci salutiamo. Prossima tappa Les Contamines, ultimo punto assistenza della gara, decido di raggiungerlo di notte per evitare il casino della mattina. Un’ora e mezza di viaggio tra valichi e ipotetiche creste mi portano a quello che credo sia un comprensorio sciistico. Trovo facilmente il Ristoro e parcheggio poco più avanti. Posso concedermi qualche ora di sonno, la testa scoppia. La notte dell’orso sarà ben più dura, ha riposato poco e facilmente si fermerà per dormire: seguo cercando di addormentarmi il live tracking sul sito e vedo che la sua velocità diminuisce. Rispondo a chi mi chiede come sta andando, sono tantissimi a seguirlo e mi piace pensare che quello che lui sta vivendo possa emozionare qualcuno a km e km di distanza. Senza rendermene conto crollo e mi sveglio col telefono che suona, lui sta arrivando e io stavo dormendo.

Mi alzo veloce, mi vesto, prendo lo zaino, chiudo il furgo e parto veloce. Raggiungo la forestale e la risalgo a ritroso, rapida come fossi in ritardo. Lo vedo da lontano, è stanco chiaramente ma felice che sia mattino, la seconda notte è andata, mi racconta dei sonnellini improvvisati e della voglia di caffè. Raggiungiamo il punto assistenza, sistemo lo zaino per la terza forse quarta volta, gli prendo qualcosa da mangiare, riempio le flask. Gli cerco un caffè ma quì è parecchio difficile riuscire a bere un caffè come il nostro, me lo devo appuntare, alla prossima assistenza termos di caffè nello zaino per ovviare ogni dubbio. Mi chiede il conto dei km e del dislivello, gli dico che ormai è fatta, ma c’è una salita impegnativa di circa 1000 mt che gli darà la mazzata finale. Inutile raccontare balle, carta canta e con il mio foglietto dell’altimetria sparo sentenze come di TDS io ne avessi fatte 5. Non ne ho fatta nemmeno una, ma lui ha bisogno di certezze, quindi meglio peggiorare la situazione, così poi se sul terreno la situazione si dimostra migliore ne sarà felice.

Ci salutiamo all’imbocco della prima salita, fuori dal paese: “Ci vediamo a Chamonix” è questo il punto che tutti vogliono raggiungere, quel punto oltre il quale sai che non tornerai più indietro e non puoi più ritirarti. Ormai sei arrivato, è solo questione di tempo.

“Ci vediamo a Chamonix”

Sono stanca, ma lui lo è certamente di più, quando entro in una Chamonix piena di gente e sento le urla della zona traguardo facilmente mi commuovo. Arrivare e percorrere le vie del centro, distrutti, correndo è una delle sensazioni più belle che io abbia mai provato. E l’ho provata a Cortina, di notte, quì è giorno, pieno giorno e tutti sono quì per vedere quelli che arrivano. Percorro a ritroso il viale per l’ultima volta, trovo un orso stanco ma felice e rilassato all’ingresso del paese, gli racconto del casino che c’è in centro, del tifo e della gente che applaude. Corre, ormai ci siamo. Lo precedo e lo aspetto all’ultima curva, entro nel traguardo con lui, essere quì per lui è una vittoria personale, l’ennesima prova che la tenacia e la tempra ci sono e difficilmente se ne vanno. Il sogno è suo, ma io faccio parte di quella piccola parte che ha permesso che si realizzi. Corro anch’io, da poco, non ho esperienza, ma l’emozione che provi nell’ultimo km la conosco bene, ti riempie dentro, ti toglie il fiato, ti fa venire i brividi e senti che tutto quello che hai fatto l’hai fatto per qualcosa. Urlo, perché da marzo le cose non sono mai girate come avrebbero dovuto e la sua voglia di allenarsi invece che aumentare, diminuiva. La sua motivazione finiva sotto i piedi in un momento nel quale invece avrebbe dovuto andare alle stelle. E io non potevo fare nulla, se non cercare di spingerlo e motivarlo. Ma ora è quì e questa è la sua rivincita.

E io c’ero.

16 commenti

  1. Anonimo

    Non avevo idea del tuo talento Ylenia. Certo che cerchi di nascondere bene il cuore d’oro che hai. Ma chi sei già lo si capiva dalle foto. Solitamente i paesaggi montani dopo un po’ sono tutti uguali, le tue foto no! mai banali. Continua a scrivere, stile molto diretto come sei tu.

  2. ANNAMARIA

    Come sempre hai la capacità di emozionare e di far vivere la corsa anche a noi che ti leggiamo…. , hai un grande talento Ylenia e un grande cuore . L’orso è stato grandioso un forte applauso a lui , ma pure a te che lo hai sostenuto e incoraggiato in questa avventura pazzesca ! Un abbraccio a voi

  3. Matteo

    Scrivi in modo meraviglioso. Considero”l’orso” un fratello e non nascondo che mi sono venuti gli occhi lucidi. Credo che tu sia stata un pezzo importantissimo del suo successo.

  4. Laura

    Che brividi leggere il tuo bellissimo racconto…descrivi tutto con grande semplicità ed é piacevole come pensare di essere lì con te a condividere le “tue” emozioni. Perché non scrivere un libro che racchiude un po’ del Vostro mondo?

    1. YLE

      Grazie Laura! Il pensiero del libro c’è… ma non mi sento all’altezza, scrivo di getto, senza troppo badare ai formalismi, non so se le mie parole potrebbero essere raccolte su un libro… Pero mi piace sapere che qualcuno le legge!

  5. Andrea

    Complimenti Ylenia, leggerti è molto emozionante. Quest’anno avrò il piacere e l’onore di assistere un mio fratello in una gara lunga… Sto cercando di imparare qualcosa e il tuo racconto mi ha già insegnato molto.

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