Translagorai Classic
Translagorai Classic

Translagorai Classic

Sento parlare della Translagorai da quando conosco l’orso. So che la gente percorre zaino in spalla l’attraversata dei Lagorai in più giorni, una catena di montagne che dalle nostre parti è considerata selvaggia, “poco servita”, dura per certi aspetti. Io che negli occhi ho solo crode, son sincera, l’ho sempre un pò messa da parte, ci sono luoghi e orari isolati anche sulle Dolomiti, le Dolomiti hanno la croda bianca chiara, il Lagorai è scuro anche quando lo vedi da lontano, si taglia massiccio, con il suo colore marrone scuro, senza troppe pretese, lì in mezzo al resto. Tu sai che c’è, ma i punti di riferimento li cerchi altrove. Ma l’idea di un’avventura attraversando montagne fa di per se gola, piace, mi incuriosisce, ma non credo di averla mai capita realmente fino a domenica sera alle 21:30 e credo di avere ancora le idee confuse a riguardo, credo di certo di aver sottovalutato il luogo e l’avventura in quanto tale nel passato e di dovermi ricredere in tantissimi punti, forse troppi. Credo inoltre di aver vissuto un’altra splendida avventura, non sui sentieri questa volta, ma dall’altra parte, seguendo chi questa attraversata la desiderava forse, tanto quanto io desideravo la LUT.

Esiste qualcosa che io non pensavo fosse possibile, in questo mondo fatto di strutture e sovrastrutture, di immagine e tempi, di “io ho fatto questo e c’ho messo tot”, di “io ce l’ho più lungo di te di tot”, di retorica e gente che parla parla parla ma poi in realtà fa molto poco. Esiste qualcuno che assieme a qualcun altro ha messo in piedi una giostra fatta di legami e relazioni, di sogni e semplicità, di collaborazione e supporto. Di cose essenziali.
E ci crede, ci crede veramente.

Esiste che qualcuno scrive un post su Facebook, mette una data e un orario di ritrovo e 60 folli con assistenza al seguito si presentano a Passo Rolle in una sera non troppo calda di metà luglio, pronti a correre 80k su e giù per il Lagorai (5000D+) in meno di 24 ore in autonomia, senza ristori, senza cronometri, senza balise, senza sapere come e se arriveranno. C’è una foto di gruppo che attesta i presenti, molti rispetto al piccolo arco di partenza fatto di legno con inciso Translagorai Classic, sullo sfondo il Cimon della Pala spunta da una nuvola veloce che sembra arrivare da San Martino di Castrozza.

Le regole sono poche:

  • Pacer ammessi, puoi farti accompagnare da chi vuoi
  • Devi essere indipendente, se decidi di mollare a metà percorso, devi trovarti un mezzo, un autostop o tornare alla partenza a piedi
  • La traccia viene fornita su richiesta
  • Non esiste materiale obbligatorio, devi arrangiarti
  • Sii umile, chiedi consigli e non viverla come un’impresa personale, nessun eroismo, a nessuno interessa sul serio quello che fai, ma l’attitudine con cui lo fai

In poche parole ti devi arrangiare e se decidi di mollare, nessuno ti riporta alla partenza. Sono cazzi tuoi.

Ed è così che io mi ritrovo al Rolle, con un furgone, una macchina fotografica e un orso che ha tutta l’intenzione di arrivare alla fine. Sarà un’avventura, mi dico, ho dei libri, qualche foglio e una penna, la macchina fotografica, lo vedrò circa ogni 20k, passeranno minimo 7h tra un incontro e l’altro, ore nelle quali io potrò leggere, scrivere e fotografare, in montagna, in furgone. Cosa ci può essere di meglio, mi dico. E’ esattamente così che iniziano le avventure ed è esattamente così che la giostra che Filippo, Roby, Dani e i ragazzi di URMA hanno messo in piedi comincia a girare, anche se io il gettone non l’ho ancora inserito.

Ore 19:00. Come detto, senza troppe cerimonie 60 folli partono, di corsa, flask piene e bastoncini alla mano. Al parcheggio restano quelli che come me sono lì per fare assistenza. Alla fine siamo tutti coscienti di aver “tempo da perdere” così ci si avvicina e si chiacchera. Senza pretese. Alcuni prendono altre strade, decidono di partire e magari dormire qualche ora prima che chi stanno seguendo arrivi alla prima tappa utile, il Rifugio Cauriol. Io so già che non dormirò, vorrei andarmi a fare un giro alla Segantini, ma le nuvole sono basse e di arrivare alla Segantini e non vedere nulla non mi va, quindi mi avvicino e mi siedo sulla sedia del Dani. Mi offrono una birra, si sa aiuta a stemperare gli animi e diluire le parole, accetto.

La giostra così inizia a girare.

Rimaniamo in pochi: Filippo quello che la giostra l’ha costruita assieme ad un amico che oggi non c’è più, occhi azzurri ghiaccio, giovane, semplice, pulito in viso, parla veloce ma di dice cose semplici, concetti puliti, essenziali, senza tante virgole e senza far grossi giri; Dani, alto, gentile, simpatico, con la battuta sempre pronta, il sorriso veloce e lo sguardo buono; Robi che assieme a Dani aiuta Filippo a far girare le catenelle, silenzioso ma presente, cazzo se è presente, lo senti anche se non parla, sembra un buono e credo lo sia veramente, sembra il più razionale dei tre, si rivelerà poi esserlo davvero; Andrea, silenzioso ed estremamente umile, il fotografo e la sua famiglia, in van, è qui per aiutare, fotografare e seguire chi è sul percorso; Jacopo, bolognese, doveva correre anche lui, ma qualcosa lo ha fatto desistere, non so molto, è quì per fare assistenza, non a qualcuno di preciso ma a chi corre, a tutti insomma, estremamente disponibile e di una gentilezza disarmante.

La situazione è strana ma mi sento a casa, tra le mie montagne, seduta su una sedia da campeggio a parlare di cose che non conosco. A scoprire cose nuove, sulle ginocchia una macchina fotografica e davanti a me persone semplici, che sembrano non avere troppe pretese e che hanno un sacco di cose da raccontare. Si beve lentamente e si decide di andare a mangiare una pizza. Ci sto.

E’ esattamente quì che la giostra inizia a girare veloce, che il vento ci sbatte in faccia l’aria gelida e quello che accade fa sì che 3 perfetti sconosciuti, diventino per me dei fantastici compagni di viaggio.

Quel che è successo poi, in un modo o nell’altro ci picchia a badilate in faccia, sul tavolo di una pizzeria di Predazzo e ci impone di reagire, tutti assieme, senza distinzioni, alla pari, come se quella giostra fosse mia tanto quanto di Filippo che l’ha creata, di Dani e Robi che la stan facendo girare, di Jacopo che è lì come me, ma mosso da un fine molto più alto del mio.

Con un cartone della pizza in mano e l’ansia appesa alle caviglie ci dirigiamo al Cauriol. Sarà poi Tommi del Rifugio a sedare gli animi e rimettere ordine nella nostra confusione. Personaggio pacato, gentile, senza troppi decori, Tommi Pacher ha deciso di tenere aperto il Rifugio Cauriol tutta la notte per questi 60 disagiati che stanno affrontando la Traversata, e offre a noi la sicurezza e la razionalità della quale abbiamo bisogno in quel momento. Ci riporta alla realtà con frasi semplici e gesti sicuri. Ma ormai è fatta, quel che è successo in qualche modo ci ha legato e ha definito l’andatura della giostra. Siamo in ballo e si balla. Assieme.

Arrivano i primi, sono le 00:04, sono “freschi”, in tutti i sensi: han preso la grandine, ma ridono e sono felici. Li aiutiamo a riempire le flask, tagliamo limoni e mele, versiamo patatine e orsetti gommosi sui piatti, mettiamo in fila le coca-cole. Ripartono. Ma le luci dal versante alle spalle del Rifugio Cauriol si accendono ancora e scendono veloci dalla forcella in alto. Ormai, abbiamo capito come gira la giostra, abbiamo preso posto sulle seggiole e ognuno ha il suo compito, nessuno ce lo ha detto ma lo sappiamo, l’ingranaggio funziona, la gente arriva e noi come veloci formichine aiutiamo tutti come abbiamo fatto coi primi. Lo facciamo perchè è naturale farlo, nessuno si chiede il perché, tutti sappiamo che l’avventura che chi passa di quì sta vivendo è l’avventura che desiderava, sappiamo cosa si prova e sappiamo cosa fare perché alla fine è quello che altri han fatto per noi su altre montagne, in altre gare, in altri momenti. Io ero quì per una persona, ma nell’attesa regalo il mio tempo, è bello farlo, non ci penso troppo mi vien naturale, il freddo non lo sento, del buio non mi accorgo, ascolto le storie di chi arriva stremato, con la frontale scarica, coi bastoncini rotti, col culo bagnato. Ascolto e aiuto, come posso, cedo la mia frontale, riempio flask, offro parole di conforto e alleggerisco con qualche chiacchera leggera il peso fisico di chi sta già soffrendo nei primi 25k di traversata. Ne sento di tutti i colori: fango e farfalle, rospi grandi in mezzo al sentiero, pietraie scivolose, freddo e umido; vedo terra e tagli che incidono polpacci, pantaloncini sporchi di fango, abiti umidi. Comincio a capire che questa traversata dei Lagorai che io reputavo “poco interessanti”, è tutto fuor che banale, sa di viaggio estremo, puzza di terra umida, mani devastate e piedi con le vesciche.

Perdo la cognizione del tempo, ma arriva l’orso. Cammina male, ondeggia. Mi ha mandato qualche vocale poco positivo. So che vorrebbe fermarsi e chiudere la partita quì, ma so che ci tiene, molto. Non menziono nemmeno lontanamente alla possibilità di un suo ritiro, lo prendo sotto braccio e senza tante parole andiamo in furgone: sedia da campeggio, cambio maglia, svuoto zaino, cambio scarpe, ricarico flask, gel e cibo, aggiungo una maglia di ricambio, lo ascolto. Mi dice che è dura, che sapeva fosse dura ma non pensava così tanto. Minimizzo, so che ci crede ed è motivato, gli caccio in mano patate e uova, una coca cola, mangia e beve. So che domani a mente lucida si maledirebbe per essersi ritirato. Quindi, dopo qualche risata riparte, sono ormai le 3:20, fa freddo, ma battiamo le mani e lo incitiamo. Come abbiamo fatto con gli altri e come continuiamo a fare fino alle 4:00. Ci concediamo un’ora di sonno, io e Robi in furgone, gli altri sulle panche del Cauriol.

Come concordato mi sveglio alle 5:00, caffè, pane e nutella, su un pezzo di legno che ho in furgone, salgo al Cauriol, stanno ancora dormendo. In Rifugio trovo più persone di quante ne abbia lasciate ieri sera: alcuni sono arrivati e han deciso di ritirarsi. C’è anche Woopy, thailandese amico dei ragazzi di Milano, era partito con le Five Fingers e lo aspettavamo un po’ preoccupati da tutta la sera: le five fingers non sono le calzature più adatte per un terreno come quello del Lagorai. Starà con noi praticamente tutto il giorno e diventerà la mascotte del gruppo. Ma noi ancora non lo sappiamo.

Io dovrei andare al Passo Manghen, ad aspettare l’orso. Qualche ritirato ci chiede un passaggio io ho un posto lo offro volentieri. Così, mi ritrovo seduta con “Thiene” (non ricordo il nome, nonostante abbiamo parlato molto e abbiamo passato il resto della giornata assieme): mi racconta i suoi primi 25k, della grandine che sferzava la pelle e batteva sul viso, degli abiti umidi e delle rocce che per quasi tutta la notte non erano più porfido ma scivoli dell’acquapark. Arriva qualche vocale, senza troppo pensarci li ascolto in viva voce, è l’orso: non è troppo positivo, ha male la schiena. Gli ho ficcato due antinfiammatori in zaino nell’eventualità i dolori dovessero aggravarsi, credo in questo momento gli siano utili. Gli rispondo che ha passato la notte, che comincerà a fare caldo a breve, che il pezzo brutto dell’attraversata è alle spalle, lo aspetto al Manghen e lì FORSE potremmo parlare di un suo eventuale ritiro, ma per ora, deve stringere i denti e camminare. Punto.

La Valle di Fiemme scorre fuori dai finestrini del furgo, si sta levando il sole, la luce è calda e riconosco luoghi di un passato non troppo lontano: Tesero in alto, i Masi di Cavalese, la funivia del Cermis, venivo con la neve e ci passavo la stagione fredda da novembre ad aprile. Alla rotonda svoltiamo a sinistra, si sale. Il paesaggio è cambiato un bel po’: Vaia ha limato i pendii rasando al suolo un bosco che ricordavo rigoglioso a tal punto da rendere la strada che sale al passo quasi buia anche di giorno. Jacopo e Dani che son davanti, son gentili mi aspettano: furgone a passo lungo, strada stretta e la mia ansia sono un trio delirante, loro sembrano saperlo.

Passo Manghen. Arriviamo che i primi son passati da circa 25 minuti, c’è Luchino che cammina sulla strada del passo avanti e indietro, era tra i primi, la giornata non gira e ha deciso di ritirarsi. Lui la traversata l’ha già fatta e da quanto ho capito è l’unico ad averla fatta in ambo i sensi. E’ sorridente, solare, sembra non aver sulle gambe 55k. Ci sono i ragazzi di URMA che devono allestire il ristoro al Bivacco Mangheneti, stanno scendendo dal furgone un po’ assonnati con degli zaini pesantissimi carichi di cibo e bevande. Io ho uno scatolone di cose, glielo dò, ma chiaramente sono impossibilitati a portare tutta quella roba ad un’ora dal passo verso il Bivacco. Con Dani e Jacopo decidiamo di allestire un piccolo ristoro lì sul passo, all’imbocco del sentiero. Apro il tavolino, stendo una tovaglia, tiro fuori il pane e comincio a fare the caldo caffè e fette di pane con nocciolata. Abbiamo delle taniche di acqua per le flask, due sgabelli e due sedie da campeggio, 3 moke, non abbiamo dormito un cazzo ma sappiamo che tra poco arriverà un bel po’ di gente, senza acqua e con 55k sulle gambe.

Diventiamo così il piccolo ristoro del Manghen: non abbiamo molto ma quando arriva Robi abbiamo un grosso campanaccio da mucca e quando spuntano i primi gruppi sul sentiero che passa tra la Malga e il laghetto poco sotto al Passo, Pow (il cane di Robi) abbaia a ritmo del campanaccio. Dal Rifugio Manghen devono salire sulla strada asfaltata, così si ritrovano davanti al campanaccio con il tifo a far da ali a lato strada poco prima del ristoro. Siamo in pochi, ma facciamo un bel casino e alcuni che sbucano dal sentiero sottostante trascinando i piedi dalla stanchezza, sentendoci ricominciano a correre o aumentano il passo. Assurdo quanto poco basti per aiutarli.

Dopo il tifo, li sediamo sulle sedie vintage del mio tavolino da campeggio, riempiamo le flask e tra una cochina e un po’ di pane e nocciolata ascoltiamo i racconti della notte: la salita dal Cauriol è stata delirante, inizialmente su strada forestale poi su sentiero tra gli schianti di Vaia, in un terreno scivoloso e dalle pendenze esagerate. E’ poi uscita la luna ad illuminare la via e a dar luce ad un paesaggio che nessuno si aspettava: le rocce umide della notte riflettevano la luna creando paesaggi incantati che si sono accesi con l’alba da poche ore ormai. Molti sono rimasti senz’acqua e hanno riempito le flask in un debole ruscello prima del Passo Manghen. C’è chi arriva stremato e decide di abbandonare, c’è chi arriva stanco ma motivato e continua. C’è un ragazzo basso, vestito di nero, che seduto sullo sgabello da campeggio fa un recap delle cime che mancano, ci fa sbregar dal ridere, inventa i nomi unendo più cime così che Gronlait e forcella Fravort diventano Fortnite, si ride e almeno sulla carta i 25k che mancano sembrano accorciarsi. Passano, si siedono, li coccoliamo e ripartono uno ad uno, le ore scorrono e noi tra un sbattere campane, fare un caffè e riempire flask non ce ne accorgiamo. Il passo comincia a riempirsi di gente che stranita ci guarda con circospezione tentando di capire cosa stiamo facendo a 2000mt con un tavolino da campeggio e un campanaccio da mucca. Sono ormai le 10:14 e di orsi non se ne vedono, decido di partire e percorrere il sentiero a ritroso nella speranza di trovarlo, lascio furgo e tavolino con ristoro ai miei nuovi compagni di viaggio e a passo veloce scendo. Incontro qualcuno, li incito, gli dico che manca poco e abbiamo allestito un piccolo ristoro, sembrano sollevati nel saperlo. Ad un paio di km dal passo trovo l’orso e un nuovo amico, Lorenz, che camminano, pesanti: mi raccontano che la notte non è stata facile, che hanno scavigliato entrambi sulle rocce scivolose, sono stanchi ma li sento intenzionati a continuare. Raggiungiamo il Passo Manghen assieme, suonano campane, Pow abbaia, la gente fa il tifo e siamo al ristoro improvvisato. Senza troppe cerimonie faccio quello che ormai mi vien naturale: sedia da campeggio, asciugamano, svuoto lo zaino, cambio l’orso, gli ficco in mano patate uova e ci aggiungo il formaggio, una coca cola e lo ascolto. E’ stanco, ha mal di schiena, si sente lento rispetto al suo solito ma il terreno è davvero duro e la grandine di ieri sera non ha aiutato. Mangia poco, si idrata bene. Faccio 2 panini col formaggio e glieli metto in zaino, qualche gel e una maglia di ricambio. Mi prendo la roba sporca e sistemo le flask, starebbe li seduto ancora, lo vedo e gli credo, ma gli faccio capire che è ora di andare, mancano 20-25k, il terreno tenderà a migliorare ma la stanchezza e i dolori diventeranno più acuti e di conseguenza il tempo si dilaterà. Gli dico che lo aspetto alla fine e non sono intenzionata ad andarlo a prendere da nessun’altra parte. Parte sereno e più stabile della notte precedente, lo vedo bene, so che arriverà infondo.

A lato furgone è arrivato Raffaele, amico di Roby, Dani e Filippo, ha i piedi devastati e lo stanno fasciando con del nastro di raso a vivo sulla pelle umida, chiedo se vogliono una mano: dal furgo mi prendo garza conettivina e vetrap, avrei dei cerotti appositi ma le vesciche sono talmente grandi che i cerotti non bastano. Cerco di pulire e fasciare al meglio, metto i calzini sopra la fasciatura finché i ragazzi gli danno qualcosa da mangiare, gli riempiono zaino e flask, si infila la camicia a quadri e riparte, stanco e un po’ provato. Sono ormai le 12:00 il passo è pieno di gente e abbiamo finito l’acqua e le scorte di cibo, ho praticamente svuotato la dispensa. Dalla lista che abbiamo dei passaggi non ne mancano molti, e comunque restano i ragazzi di URMA al bivacco Mangheneto, così veloci e risoluti, sistemiamo quel che resta e partiamo alla volta del Rifugio Erterle, l’arrivo. Sono stanca, ma lucida estremamente lucida, il mio cervello e il mio fisico lavorano bene sotto pressione. Scendiamo il Passo Manghen sul versante della Val Calamento veloci, è caldo: penso ai ragazzi che stanno correndo sotto al sole, al freddo che han patito la notte e al caldo che stan soffrendo ora. Non mi chiedo nemmeno le motivazioni che portano una persona ad affrontare una cosa del genere, le so, sono dentro tutti noi e pochi di noi sanno spiegarle. Eppure siamo quì, tutti assieme, su questa giostra che ora gira veloce e nessuno di noi intende fermarsi prima di aver oltrepassato l’arco di legno con scritto Translagorai Classic.

Scendendo dal passo in furgo penso ad un sacco di cose: penso a cosa mi abbia portato quì, a come sia successo tutto così in fretta ma, come il tempo sembri dilatato e lento, a come stia vivendo a pieno quest’avventura assieme a dei perfetti sconosciuti: non so che lavoro fanno, da dove vengono, cosa fanno nella vita, se sono fidanzati o sposati, se hanno qualcuno che li aspetta a casa, so che corrono tutti, che tutti sono di certo più forti di me, ma che siamo tutti mossi della stessa passione e questo basta. Ci prendiamo cura di quelli che corrono come fossero nostri amici, compagni, mogli o fratelli eppure nessuno di noi li conosce tutti, io non ne conosco nessuno ad esempio, solo l’orso. Eppure ci siamo e sappiamo come e cosa fare senza che loro ce lo dicano, perché anche noi in altre occasioni abbiamo vissuto quello.

Odio le strade strette e quì è pieno di strade strette. Arrivo al Rifugio Erterle, che follia: sul parcheggio hanno allestito qualcosa che potrebbe tranquillamente essere il set di un film americano anni ’70. Alle spalle dell’immancabile arco di legno a semicerchio sono disposti sedie pieghevoli, sgabelli, gente seduta a terra che chiacchera, tavoli imbanditi di cous cous, pasta fredda, angurie e meloni, frutta e cose da bere. C’è chi è arrivato da poco, chi da molto, chi aspetta qualcuno, chi non aspetta nessuno ma è quì per fare il tifo e il tifo lo fanno a chiunque indipendentemente da chi arrivi, anche a me che arrivo in furgo. Parcheggio e mi unisco alla follia. Non conosco nessuno, solo i miei compagni di viaggio, conosciuti appena 20 ore prima, vedo facce note, ma di per sè non ho legami con nessuno, eppure molti mi salutano e mi chiedono dell’orso come mi conoscessero. Mi chiedo perchè. Poi ci ragiono, hanno corso, sono arrivati e mi han trovato ad ogni ristoro improvvisato dal Rolle a quì. Sono stranita, si ricordano di me e riconosco in loro la felicità di chi ha ottenuto qualcosa che desiderava, sfatti dalla fatica, ma sereni. Io in qualche modo sono stata parte della loro avventura, sorrido.

Comincio a spegnermi, sono in piedi da più di 24h, è l’una e nonostante vorrei rimanere a fare il tifo a chi arriva, crollo, cullata dalle urla e dal campanaccio di Robi che fanno da colonna sonora ad ogni arrivo. 2h non di più, mi sveglio sognando cibo e immancabile scesa dal furgo arriva Jacopo con la mortadella, apro la cucina e si riparte: piade, mortadella e fanta. Sono ormai le 16, di orsi all’orizzonte non se ne vedono e mi servono energie per andarli a cercare. A panza piena, mi vesto e parto. Altro tifo, per me che me ne vado e mi gasano talmente tanto che corro pure. Risalgo a ritroso la traccia e spero di trovarlo. Vedo il Passo in alto e intuisco la traccia di discesa. Lo trovo poco sopra Malga Prese, con Lorenz, sono distrutti. L’orso sembra piegato a metà e il Lorenz dal caldo si è tolto la maglia ed ha escoriazioni in ogni dove. Mi faccio raccontare come è andata, gli racconto che i ragazzi hanno imbastito una cosa bellissima al Rifugio e manca davvero poco, è solo questione di tempo. C’è un ultima piccola salita, mi stramaledicono, ma tanto poi c’è la discesa, mi stramaledicono comunque. Finite le salite, sull’ultimo pezzo li abbandono e li lascio da soli, questa cosa la devono vivere loro, che c’han messo gambe, testa e cuore, io non c’entro, preferisco stare al di là dell’arco a tifarli. Li saluto e scendo correndo.

Non so cosa abbiano provato, non credono abbiano provato ciò che si prova al traguardo di una classica gara. C’hanno messo 23h e 35 min e sono stati accolti come fossero i primi, sono passati sotto al piccolo arco di legno, tra cani che abbaiavano, campanacci che suonavano e le urla di tutti i presenti. Non so cosa abbiano sentito, io ero dall’altra parte, accucciata a terra che vedevo tutto attraverso l’obbiettivo della Sony. Io ho avuto i brividi, per loro. Io ho versato una lacrima per loro, mi sono emozionata a veder la scena, loro a viverla credo abbiano toccato il cielo con un dito. Essenziale questo mi vien da dire.

80k 5000D+ 23h35min per attraversare la catena del Lagorai dal Rolle alla Panarotta, sono solo numeri, quello che si è vissuto è molto, molto di più. Un giro in giostra lungo 24h, su una giostra montata da dei folli sognatori che credevo non esistessero più al mondo. Un gruppo di ragazzi con l’amore per la corsa e le cose semplici, con l’amore per l’avventura e la passione per l’attitudine a viverla quell’avventura. Poche altre volte negli ultimi anni ho visto così tanta passione raggruppata in un unico luogo, così tanta collaborazione, aiuto reciproco e disinteressato. Azioni e reazioni mosse e volte ad un unico obbiettivo: far si che tutti quelli che stavano tentando questa avventura potessero passare sotto quell’arco di legno in meno di 24h.

Ah si, non l’ho ancora detto: se arrivi alla fine vivo in meno di 24h vinci un adesivo, una pacca sulla spalla e quest’anno un abbraccio, il biscotto. Tutta questa magica follia è mossa solo per avere un adesivo olografico. Ma la magia vera non sta solo nell’adesivo e nell’arrivare nelle 24h, la magia sta che finché non è arrivato l’ultimo, nonostante siano passate 24h, non si abbandona il parcheggio. Si aspetta e si tifa quando arriva, anche se per lui non ci sarà adesivo olografico. La magia di questa follia sta che se ti ritiri rimani sul percorso a dare una mano, se ti fermano in forcella e ti chiedono che cazzo tu stia facendo, racconti loro della traversata, sta nell’aiuto incondizionato al prossimo, solo perché sai che quel prossimo ha un sogno e tu puoi aiutarlo ad arrivare alla fine, sta nella bellezza di relazioni costruite in 24h spalla contro spalla, al freddo, al buio, al sole, al caldo, sta nell’idea di giostra che dei ragazzi hanno costruito e che gira bene e forte, e questa volta anche se io l’adesivo non l’ho vinto e probabilmente non lo vincerò mai, su quella giostra ci son salita anch’io, ed è stato davvero bellissimo.

L’essenziale è invisibile agli occhi, qualcuno ha detto, ma ben chiaro al cuore.

26 commenti

  1. Marcello

    Sono arrivato poco prima dell’Orso.
    Ho sorriso e pianto assieme mentre leggevo.
    Eh sì… È stato massacrante quanto magico.
    Grazie per averlo descritto in questo modo.
    Marcello

  2. vale

    Wow che racconto! Traspaiono tutte le emozioni che avete provato quei due giorni in sospeso tra adrenalina e stanchezza. Io non c’ero ma sono la compagna di Dani (quello alto, gentile, simpatico, con la battuta sempre pronta, il sorriso veloce e lo sguardo buono) <3 e sentivo la sua emozione da giorni, che ogni tanto traspariva di più e ogni tanto era celata sotto tutta la preparazione e la concentrazione per le cose che occorreva avere pronte prima dell'inizio di questa avventura. Tramite questo racconto ho potuto vivere a distanza quello che avete vissuto tutti tra sabato e domenica. Emozionante davvero!

        1. Carlo

          Brava Yle x il racconto e bravissimi Orso e tutti gli altri; dal primo all’ultimo
          80 x 5000 non li vedró manco col binocolo; mi son bastati un mezza trans d’havet di qualche anno fa, e altre piccole e modestissime soddisfazioni, ma sognare ad occhi aperti ancora mi riesce bene, grazie ai racconti e agli attori di ció che ho appena letto. Emozionante davvero !!

          Grazie

  3. Simone

    Hai raccontato tutto dal tuo punto di vista e lo hai fatto con una delicatezza speciale. Noi che eravamo dentro abbiamo vissuto altro. I nostri racconti si fondono ai tuoi e tutto assume ancora più senso.
    Siete stati fantastici, e non sappiamo come ringraziarvi.

    Un grande saluto da parte mia, Simone, il ragazzo che era entusiasta dei panini con pomodorini mangiati al Rolle e poi al Manghen. Un toccasana. Grazie anche per le bellissime foto. Ricordi indelebili.

  4. Tommi

    Racconto bellissimo! emozionante! straordinario !

    Stragrandi tutti, da chi ha permesso che tutto questo potesse essere realizzato, a te che con questa “storia” hai saputo trasmettere emozioni anche a chi non ha partecipato, a tutti quelli che al Rolle sono sfilati sotto quel piccolo arco di partenza senza ben sapere cosa realmente gli aspettava.

    Un abbraccio a tutti ragazzi, alla prossima

  5. Margherita

    È davvero emozionante leggere il tuo racconto. Sei riuscita a condividere, non solo con il tuo compagno, l’avventura, il coraggio, la fatica, la stanchezza e la gioia. Complimenti 👍

  6. federico jama bettega

    che dire chi ama la montagna la fatica le cose genuine che vengono dal cuore si innamorera’ subito della Transalgorai un grazie sentito a chi Ha organizzato con semplicita’ ma passione e tenacia un evento che ci fa sentire vivi !!! Federico Jama Bettega

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