Un viaggio meraviglioso
Un viaggio meraviglioso

Un viaggio meraviglioso

Che meraviglioso viaggio.

E’ l’unica cosa che riesco a dire da ormai 10 giorni. Sì, ho aspettato parecchio prima di scrivere qualcosa su questa avventura. L’idea era di scriverlo subito per paura di dimenticare quanto ho sofferto e quanto mi sono stramaledita in quel momento, come sempre capita dopo una gara. Avevo aperto il pc, seduta in furgone sotto a Passo Giau, il giorno dopo la Ultra Dolomites, ho scritto qualche frase e poi l’ho chiuso.

Io non ho sofferto in questi 80k. E’ stato uno dei viaggi più epici che abbia mai fatto, un’avventura magnifica e no, non sto sprecando aggettivi positivi a caso, non sono proprio il tipo. Ma questa volta, davvero, la mia mente, spesso divisa in due, sempre pronta a ricordarmi “quanto inadatta” e “quanto poco preparata sia” mi ha regalato una giornata di forza, pura determinazione e concentrazione. 17h di felicità. Non un attimo, non i 5 minuti prima dell’arrivo ma 17h e 55 min di pura gioia.
Da quando ho mosso il primo passo alla partenza, al mio salto della linea di traguardo in centro a Cortina.

Vorrei avere abbastanza parole per raccontare tutto quello che ho provato, ma non credo di averne di adatte e non credo di essere in grado di metterle in fila nella maniera corretta. Non sono un’atleta, i miei obbiettivi in questa avventura non erano i numeri ma le sensazioni, le emozioni, la sfida personale di fare qualcosa al di là delle mie capacità, in un luogo che considero casa, su un tracciato che conosco, ammiro e seguo da quando ho mosso i primi passi in montagna.

Partenza da San Vigilio di Marebbe alle 6:30, con le lacrime agli occhi, in un misto di ansia e paura, emozione e gioia. Un pò come quando mi sono laureata o come quando sono partita per il viaggio in Africa di un mese, nel 2009. Un nodo alla gola, una sensazione strana, particolare, non ero certa di essere in grado di portare a termine una cosa così, io tra tutte quelle persone iper mega preparate. Dalla mia parte avevo solo la determinazione, ma il resto credevo mi mancasse in pieno. Avevo passato gli ultimi mesi ad ascoltare podcast di trail (grazie Buckled e Sterrato) e interviste di ultra runner durante le mie corse giornaliere e durante gli allenamenti più lunghi, pensando di poter acquisire quelle nozioni che non avevo, usando questi ascolti come motivazione e arricchendo il momento dell’attesa prima della gara.
Il materiale era pronto e diviso in sacchettini con il nome dei ristori già da giorni, la mia tabellina, disegnata a penna ed evidenziatore, con dislivelli e tempi di percorrenza stampata in duplice copia era già sul cruscotto del Furgo dell’orso e una nello zainetto, da vera maniaca del controllo. Le valutazioni su scarpe e zaino fatte ormai da tempo. Era tutto pronto, ma la mia testa continuava a dirmi che probabilmente mi stavo dimenticando qualcosa.

Count down iniziato in una San Vigilio che credo non si sia mai ritrovata cosi piena di gente come quella mattina. Io incastrata tra le transenne, in ansia. Cazzo che ansia. E non sapevo spiegarmi il perchè: gli inizi di solito sono sempre belli, è verso la metà che mi pento della scelta intrapresa. Sbam, la musica sale, il timer dell’orologio parte e si va, trasportati da questo fiume di gente in salita, verso la prima forcella. Nel video si sente un DAI YLE, urlato, un pò mozzato… io quel sabato mattina non l’ho sentito talmente ero persa nelle mie paranoie e nelle mie ansie.

La nebbiolina sale dai prati ed entra in bosco, l’umidità è tanta, il sentiero si stringe e si sale ancora. Si entra in una valle stretta e alta con una cascata al centro, sembra un’enorme forra: la gente si ferma e fa foto, sento tantissimi “ohhh” “woow” e io sorrido perché so che questo è solo l’inizio e forse nemmeno il punto migliore, anzi.
Si sale verso Forcella Cacagnares. E’ lei che mi crea ansia, so perfettamente com’è e so che non sarà facile superarla: è un costone di croda col sentiero che passa di traverso su ghiaione. Il ghiaione non è di quelli classici, ma di roccia frantumata, croda marcia che ti scivola sotto i piedi. Mi concentro e salgo. Silenziosa e ritmata, non alzo lo sguardo, fisso le scarpe della tipa davanti e salgo. Le mie vertigini mi picchiano sulla spalla. So perfettamente che ho la meraviglia attorno: il sole è salito, le nuvole sono rimaste a valle e fanno da tappo alla forra, lasciando il resto del mondo giù. Il cielo è azzurro senza una nuvola. Le crode da questo lato del Parco Fanes Senes Braies sono aranciate e creano un anfiteatro dove verde, arancio e azzurro dipingono un’opera d’arte, lo so. Ma io non alzo lo sguardo. A pochi minuti dalla forcella un tipo del Soccorso Alpino, fermo a lato in uno dei punti critici, mi guarda e fa “mancano solo 5 minuti”, credo abbia sentito a naso il mio terrore.
Passata, chiudo i bastoni e scendo.

Ma al secondo tornante mi fermo a lato, alzo lo sguardo e sorrido. Sarà una lunga giornata ma già so che sarà un’avventura meravigliosa.

E via giù verso Malga Foresta. I prati sono verdissimi, ma non è caldo si sta bene. Il sentiero scende, dovrebbe sbucare in una radura ed eccola lì la casina di legno che sulla cartina prende il nome di Alte Kaser: un anno fa, mi sono seduta con il nano su quei gradini ad ammirare l’assurda bellezza di questo luogo, era una giornata un po’ uggiosa e stavamo salendo verso Malga Fojedora. Le gambe vanno e al ristoro manca davvero poco. Trovo un orso, poco dopo la radura, sorrido, dovevamo vederci a Ra Stua. Mi ha fatto la sorpresa e so di non essere sola.

Si riparte, altra Forcella altra Salita, si passa prima dal Lago di Braies che personalmente odio, ma stamattina è di una bellezza disarmante con le crode che si tuffano dirette sulle sue acque verde smeraldo. C’è poca gente in giro, solo noi, che corriamo. Riapro i bastoncini e risalgo verso Forcella Sora Forno. Il paesaggio cambia, le pareti rocciose si fanno più chiare, slavate, tendono al grigio, sotto ai miei piedi non più ghiaino arancione ma sassi bianchi. Forcella Sora Forno è una bestemmia, sale e non ti lascia fiato, su ghiaione prima e sentiero poi, prende il giro largo tocca i prati verdi che scendono da Forcella Cocodain, la conosco, ci siamo venuti in autunno dove i colori quì la fanno da padrone e dove capisci perché questo luogo magico è terreno per le meravigliose Favole di Fanes.

Passiamo sotto la Croda di Foses: il sole la dipinge di argento vivo, le creste che la contraddistinguono stamattina sembrano disegnate col pennarello nero, da quanto sono incise e profonde. L’ultima tirata: qualcuno mi chiede quanto manca, “ultima salita” …. “sei di qui?”, mi giro guardo il ragazzo e rispondo “no, ma è come lo fossi…”. Ripenso agli innumerevoli giri fatti l’anno scorso tra questi sentieri e a quante volte abbia detto a qualcuno “ti porto in un posto che credo tu lo abbia immaginato solo leggendo le favole dei bambini”. Passiamo anche Forcella Sora Forno e il paesaggio si apre sui prati davanti al Rifugio Biella. La Croda del Becco sulla mia destra è ridente oggi, non ha nemmeno il cappello e si staglia fresca e argentea sul cielo azzurro.

Penso alla fortuna che ho di poter correre in questi luoghi non solo oggi, ma quando voglio.

Scendo verso il prossimo punto acqua, Rifugio Senes all’imbocco della Val Salata, passiamo attraverso i prati e non sulla forestale: quì è pieno di marmotte, l’anno scorso c’abbiamo perso Frida e il Nano in un giro assieme alle mie Romagnole. Forcella del Riciogonogn, Ju de Senes e la Muntejela de Senes scorrono sulla nostra destra veloci, verdi e dai contorni arancioni vivi, disegnate su un cielo azzurro che oggi non ci molla un secondo. I prati del Plan de Lasta dopo il Senes sono fogli verdi colorati a pastello e correrci oggi è una meraviglia. Passiamo sopra Ucia Fodara Vedla, su quel sentiero che discosta dalla via delle casette di legno e taglia in alto, permettendoti di vedere dall’alto la conca verde e le crode argento del Ciamin sullo sfondo. Il Lago di Rudo è secco e segna il confine tra le terre di Cortina in Veneto e il Trentino che ormai mi lascio alle spalle. Ra Stua il prossimo obbiettivo, manca poco, è discesa in bosco, veloce e divertente: penso ad una delle mie prime discese di corsa e credo che una delle prime sia stata proprio quì, col nano alle spalle nel tentativo di inseguire l’orso che avevamo davanti.

Ra stua, mi fermo, mangio tanto, è un ottimo segno, quando ho fame sto bene e oggi cazzo sto davvero bene. Vedo i video delle romagnole che han deciso di farsi un trekking pensandomi, non racconto quì cosa ho visto, mi ucciderebbero. E’ veramente bello sapere che qualcuno ti sta pensando fintanto che tu fai qualcosa che credevi importante solo per te. Riparto con questo pensiero in testa è arrivato il momento più duro di tutta la gara, sono vicino ai 40k e so che solitamente attorno a questo numero entro in crisi e la mia testa comincia a chiedermi chi me lo ha fatto fare, rallento e cado nel baratro. E già successo. Potrebbe succedere anche oggi.
Scendo verso Ponte Outo, passo affianco alle cascate, sono sola e loro sono meno cariche del solito ma sempre rumorose nel tuffarsi dentro quella grande gola della quale io non ho mai visto il fondo. Pian de Loa, bivio con la Valle di Fanes: la gente si ferma a fare foto e non sento altro che gorgoglii di stupore e ammirazione per questo luogo. Sorrido. Siamo al punto critico, il sole è alto ancora e io devo entrare in Travenanzes, siamo a metà.

Carico le flask nell’ultimo torrente che scende a sinistra salendo, metto la testa nell’acqua gelida, azzero i pensieri e a testa bassa entro nella meravigliosa Val Travenanzes. Non ci passo dal 2018 forse 2019, quando l’ho scoperta sulla cartina e ho deciso di andare a vedere cosa c’era: è una valle lunga e stretta, spalleggiata a sinistra dalle Tofane e a destra dalle prime crode del Gruppo Fanes-Senes-Braies, da un lato la roccia è nera umida dall’altro argentea, in mezzo ci scorre il Ru de Travenanzes che chiacchera un sacco e il suo eco lo senti dall’alto, ti riempie le orecchie anche se oggi non è in ottima forma. Si sale, lentamente e in maniera costante, si passa dalla sinistra del Ru alla sua destra camminando sul suo letto, quì solitamente ci sono guadi, grossi guadi, ma oggi è vuoto, secco, scorre su 10 cm di acqua giallognola, di solito è azzurro intenso e fa un pò tristezza. A sinistra però da dietro la Rozes la Cascata di San Minighel si tuffa a picco in Travenanzes, la vedi solo se sai dov’è, altrimenti sembra un riflesso del sole, è scarica anche lei, ma c’è. Ultima salita, tra le marmotte che oggi non ci sono, troppo casino in questa valle che di solito non vede anima viva nonostante la sua posizione centrale.

Aria fredda. Gelida. Forcella Col dei Bos, è la mia preferita. Quando viri verso sinistra e fai il giro della Tofana ti si apre il mondo e non puoi che rimanere incantato da cosi tanta bellezza: da destra, come un pettine Croda da Lago, più dietro, ma visibile come si potesse toccarlo il Caregon del Padre Eterno, il Pelmo, che oggi sembra propio un enorme sgabello, solido. Davanti, imponente e massiccio il Lastoi de Formin, le Cinque Torri, una mano che protende verso il cielo, nascondono Forcella Giau direttamente dietro. Nuvolau e Averau, quasi bianchi, la Croda Negra e giù fino al Falzarego. Da quì puoi vedere tutto, ma proprio tutto e la luce oggi è gentile, ne descrive i contorni e ne esalta i colori. Amo questo luogo.

Senza rendermene conto ho passato il punto che pensavo più duro, ho vissuto Val Travenanzes passo dopo passo, le nuvole hanno coperto un pò il sole, giusto per non farci morire cucinati nella piana del gretto del fiume. Alzo lo sguardo, la Tofana è lì e non ha il cappello, qualcuno deve aver portato un bel pò di Moretti a quello dei piani alti e deve essersi pure intrattenuto a chiaccherare con lui, perchè io una giornata così non l’ho mai vista. Deve avergli raccontato di quella volta che salendo al Rif. Carpi parlavamo assieme proprio di questa gara quì e di quanto io desiderassi correrla, deve averlo intrattenuto come faceva con me, ore, saltando da un discorso all’altro, stordendolo di parole e concetti apparentemente senza senso. Credo sia andata proprio così. Scendo, ho un pegno da pagare da Col Gallina in poi non ci si può più fermare, lo avevo promesso.

Scendendo il tempo passa leggero, l’orso è venuto ad aspettarmi in forcella, sapeva che potevo cedere quì, così mi racconta delle Romagnole. Chiedo l’ora, ho perso la concezione del tempo, siamo nel tardo pomeriggio, lo riconosco dalla luce ma mi sono completamente dimenticata di avere un orologio. Riparto da Col Gallina con un pò di anticipo, è l’ultima salita dura, l’ho fatta l’anno scorso con Ricky durante la sua LUT e so che dopo tante ore e parecchi km, questa ti taglia le gambe dalle ginocchia in giù. Ritmo, solo quello. Spengo il cervello, apro i bastoncini e salgo. Arrivo poco prima di forcella Averau e sento la musica dal Rif. Cinque Torri, canto. Arrivo a Forcella Averau cantando, le ragazze del rifugio che offrono te caldo ridono e cantano con me. Mi giro verso le Tofane, il sole sta scendendo ma la luce rada, calda, quasi oro scalda la croda che diventa rosa arancione, tira un’aria gelida, ma non la sento. Supero la forcella e proseguo verso il Giau, attraverso il Masareto di Pieza. Il sentiero taglia in costa il Nuvolau giusto sulla linea dove finisce la roccia e inizia il ghiaione e il prato. E’ il punto in cui, scendendo con la mano sinistra puoi toccare la croda. Siamo al tramonto, il sole è alle spalle e sulla mia destra Marmolada, Viel del Pan, Col di Lana, Settsass, si alzano come bassorilievi dal terreno verde intenso. E’ raro vederli cosi limpidi e dai contorni precisi, sono fortunata, l’ultima salita è andata ora non mi resta che Forcella Giau. Sono in anticipo rispetto a quello che mi ero preposta e so che non la passerò col buio. Attraverso il Giau, mangio e riparto.

L’orso mi dice “Ci vediamo a Cortina”.

Per molti questa frase non ha alcun senso, ne sono consapevole, ma su questa gara, “vedersi a Cortina” significa che ce l’hai fatta, sei arrivato alla fine, ci sei riuscito e tutti i tuoi allenamenti, le tue corse, le uscite sotto la pioggia, al sole, al caldo, nella neve, col fango, quando non ne avevi voglia, quando avresti preferito solo rimanere sul divano, quando avresti voluto dormire un po’ di più, quando hai dovuto lavorare e non potevi allenarti, quando potevi allenarti ma non ne avevi voglia … tutto quello che hai fatto fino ad oggi, prende senso. “Ci vediamo a Cortina” significa per me che non ho fatto tutto per il cazzo, ma tutto fino a quì ha avuto un senso ed è servito a qualcosa.

“Ci vediamo a Cortina” dico, con la voce che trema e il nodo alla gola.

Forcella Giau è corta ma stronza, è l’ultima forcella seria e se non lo sai, ti taglia le gambe e ti pesta il morale come si pesta l’uva a a fine settembre. Sono 20 minuti, forse mezzora, ma sale in piedi e se ti fermi sei fottuto. Ritmo solo quello, apro i bastoncini, sento le campane delle mucche e dei cavalli nella conca sotto suonare e salgo. Quando arrivi in cima ti si apre un mondo nuovo, diverso da quello in cui sei stato finora. L’aria è gelida ma davanti a te hai i prati del Mondeval, verdi pieni di fiori. Il Mondeval è l’altipiano erboso più alto nel quale è stato ritrovato un insediamento umano di era mesolitica: incastonato tra il Monte Pelmo, la Croda da Lago, il Bec di Mezodi, i Lastoi del Formin e il Monte Cernera, si estende lungo un vasto altopiano alla quota che varia dai 2150m fino ai 2360m di Forcella Giau. Una zona wilderness dall’alto valore naturalistico. Una meraviglia per gli occhi. A questi luoghi io ho legato un brutto ricordo purtroppo, ma da oggi invece rimarrà inciso sulle mie gambe grazie a questa giornata indescrivibile. Passo la Città dei Sassi, guardo da lontano il Lago delle Baste e vedo riflesso il Pelmo, bianco, etereo, così non l’avevo mai visto. Poco sotto Forcella Ambrizzola accendo la frontale, un ragazzo mi chiede quanto manca “13k, ma questo è uno dei luoghi più belli che tu possa vedere” rispondo.

Scollino su forcella Ambrizzola, mi giro verso Forcella Giau, il Mondeval è nero come la pece, ma tra un forcella e l’altra corre un fiume di lucine bianche che si muovono velocemente, il Pelmo è lì, candido, sembra morbido a guardarlo, illuminato dall’ultima luce. Guardo il cielo e si vedono le prime stelle. E’ sera ormai, ma io sono arrivata, è solo questione di tempo. Scendo verso il Lago Federa, sulla mia destra scorrono le luci di Cortina, il Cristallo, in lontananza le Tre Cime, in primo piano Croda Marcora ancora leggermente illuminate, vivono di luce riflessa.

Al Rif. Palmieri prendo un thè e per la prima volta guardo l’orologio: mancano 7k e son passate 17h. Il tempo è volato e io non me ne sono resa conto: sono entrata in una porta temporale e ora mi ritrovo quì sopra Cortina, col buio e un the caldo in mano. Da quì in poi è tutto bosco, fino a Mortisa, dove inizia l’asfalto e l’ultimo km verso Corso Italia. Questo tempo mi è sembrato infinito, l’aria di Cortina e i suoi rumori non li senti fino quasi alla fine ma sai di essere arrivato.

Faccio la curva che sale a Mortisa, tolgo la frontale e piango. Ci sono, le gambe vanno ancora è il fiato che mi manca, ho un nodo in gola, che per 17h ho continuato ostinatamente a mandare giù. Mi ero ripromessa che fino alla fine non avrei pianto, almeno finché non fossi stata certa di tagliare il traguardo. Ma ora ci sono, attraverso la strada, passo il ponte, giro a destra, poi a sinistra. Ultima salita.

Corso Italia. Cortina.

Mi passano per la mente talmente tante cose che ora non saprei descriverle, mi fermo un attimo nel tentativo di godermi il momento, ma la gente urla e ti incita. Pensano che non ce la faccia, che sia finita, ma io ne ho ancora è quello il bello, mi fermo perchè non so se potrò viverlo ancora così questo momento. Finchè corro verso il traguardo penso a dove questo percorso è iniziato e non è iniziato a San Vigilio di Marebbe ma ben prima. Probabilmente è iniziato nel 2017 assieme ad un amico, che oggi non c’è più. A lui raccontavo della LUT, con lui avevo programmato tante escursioni per vedere quei luoghi che tanto mi affascinavano. Poi la vita ha preso la piega che non doveva prendere e quelle escursioni negli anni le ho fatte con altre persone, o da sola, ma sempre con il Nano. A lui avevo fatto la promessa che prima o poi alla fine di quei maledetti 80k ci sarei arrivata. Dovevamo farli assieme quelli della Grande Corsa Bianca ma ne ho fatti solo 40 e da sola, senza di lui. Avevo una promessa e l’ho mantenuta. Sono a Cortina e mancano forse 600metri.

Penso a come questo viaggio, iniziato anni fa, abbia cambiato me e tutto quello che ho vissuto. A come sia approdato un Orso sul mio sentiero e mi abbia insegnato a correre dove prima camminavo, a come abbia creduto in me più di quanto io credessi in me stessa e sia pure riuscito a convincermi che potevo farcela davvero a fare quegli 80k, se davvero lo volevo. Penso a tutto quello che è successo negli ultimi 2 anni e a quanto sia cambiata io attraverso questo sogno. Non sono un’atleta, la prima donna ci ha messo metà del mio tempo (9h25min), lei tagliava il traguardo a Cortina quando io ero ancora a Forcella Col dei Bos. Ma non era questo il mio obbiettivo.
Io volevo arrivare alla fine, felice.

Era una scommessa grossa per me, non arrivare alla fine sarebbe stata una sconfitta, sarebbe stato associare un brutto ricordo a qualcosa che per me era un sogno, a un luogo che per me è casa. Era questa forse la mia paura, era questo forse il motivo della mia ansia. E’ banale dirlo, lo so, ci sono cose molto più importanti nella vita, ma le sfide che ti poni tu sono forse quelle che ti fanno crescere e io inconsapevolmente prima e consapevolmente negli ultimi due anni ho usato questa sfida per modificare me stessa. Ho centrato il mirino sull’obbiettivo e in funzione di questo ho mosso tutto il resto, non perché volessi arrivare alla fine di una gara, ma perché avevo bisogno di qualcosa di concreto per modificare ciò che ero e non volevo più essere.

Ho costruito una nuova me su questi sentieri negli anni, senza saperlo, ho addestrato la mia mente al silenzio e alla fatica, trovando un modo per mettere a tacere le mie ansie e le mie paranoie.
Ho imparato la pazienza, la costanza, il provare e riprovare.
Ho imparato ad accettare la paura e qualche volta ad usarla a mio vantaggio, non sempre, ma ci stiamo lavorando.
Ho imparato a respirare lentamente, a concentrarmi sui miei passi, a non pensare al resto.
Ho imparato che se lasci andare, se accetti e respiri, poi le cose vanno al loro posto, inutile costringerle.
Ho imparato ad aspettare il momento giusto e ad accettare il momento sbagliato, virando su altro.
Ho re-imparato a seguire i segnali, esistono, ci sono, basta ascoltarli.
E non ho ancora imparato ad allenarmi seriamente. Credo quello non lo imparerò mai.

Qualcuno mi ha detto, ancora nel 2018, prima della Grande Corsa Bianca “Corrila con il fiato e le gambe finché ne hai, poi quando ti mancano, corrila col cuore”.
Io questi 80k li ho corsi tutti con fiato, gambe e cuore, tutto insieme, grazie all’aiuto di un Orso che mi ha insegnato a credere in me, cosa che non sapevo più fare da un bel po’, grazie al sostegno degli amici che mi hanno seguito come fossi una che doveva fare il record sul tracciato, grazie al mio Nano che si è allenato con me sempre e grazie a quelli che sono rimasti a casa a badare a lui finchè io provavo ad arrivare a Cortina.

“Si Cazzo” è l’unica parola che mi è uscita sulla linea del traguardo e al di là di quella linea ho trovato una di quelle persone che, anche se hanno sempre un sacco di casini, ha trovato del tempo per me, perchè sapeva quanto ci tenevo. Le altre due invece anche se non c’erano le ho sentite come fossero lì con me. (GRAZIE)

E’ stata un bellissimo viaggio. Da quì si riparte. Nuovi.

5 commenti

  1. ANNAMARIA

    Non ho parole …. Yle sei una ” trasmettitrice ” di emozioni…. un viaggio meraviglioso. Un po’ ti invidio per come riesci a cogliere la bellezza nonostante la fatica , si percepisce quanto cuore ❤ hai messo in questo viaggio Complimenti, un abbraccio e spero di conoscerti prima o poi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *