La Grande Corsa Bianca
La Grande Corsa Bianca

La Grande Corsa Bianca

Ciao Viga,

hai sentito le urla e la musica? La gente carica, tesa, emozionata. Il crescere forte e deciso del count down e l’esplosione finale in salita, dove tutti correvano, pressati l’uno all’altra come se l’arrivo fosse dopo 2k?

Sono entrata nel palazzetto di Vezza D’Oglio e ho vissuto tutto come in quel maledetto 2018: il palazzetto era più piccolo, tutto era più contenuto, ma l’atmosfera di avventura era la stessa. Atleti sulle sedie con zaini smontati sul pavimento, fervore nel “cosa mi porto?” “secondo te questo mi serve?” ” me se tolgo questo pesa meno”

Scorgo subito il Forcella al piano superiore e subito mi accorgo di quanto poco ci conosciamo io e lui ma di quanto io lo stimi: pacato, semplice, parla a voce bassa che a sentirlo mi chiedo se io sto urlando. Nel parlarci penso a quando tu mi raccontavi di lui e mi dicevi di quanto fosse preparato e gentile nel condividere quello che sapeva con te. Mi ricordo la tua stima per lui e mi rendo conto che inizialmente, prima di conoscerlo di persona, lui a me piaceva solo perchè tu me ne avevi parlato bene. Nel 2018, al palazzetto di Ponte di Legno io nemmeno sapevo chi era ma avevo dei booties da consegnargli. La sua stretta di mano quel venerdì sera mi ha confermato tutto quello che su di lui mi avevi raccontato, senza che lui dicesse nulla, perchè lui parla poco ma bene. Che strana la vita.

Apro lo zaino e stendo il suo contenuto sul pavimento, nel tentativo di fare un check confuso di quello che ho e di quello che realmente mi serve. Mi rendo conto di aver più o meno le stesse cose dell’ultima volta, ma questa volta stipate e sistemate in modo tale da rientrare tutte nel mio zainetto da trail preferito. Arriva Raffaele, mi guarda e dice “tu si che sei light”, la cosa come al solito mi scombussola ma il Forcella e l’Orso tuonano sereni ” se hai tutto quello che ti serve, allora sei apposto!”
Ma dove la trovano tutta sta sicurezza? e io come faccio a sapere di cosa ho bisogno?

Assieme a noi c’è Daniele, un amico di Translagorai. Ha deciso di farla assieme a me.
E’ stato cosi sensibile da chiedermi se poteva alimentando in me l’idea che forse lo avevi mandato tu.
Daniele e il Dega assieme a Roby che però non c’è, sono i miei/nostri nuovi amici di trail, li abbiamo conosciuti quest’estate in 24h molto intense vissute gomito a gomito, spalla a spalla. Entrambi mi avevano parlato della voglia di provare a fare La Grande Corsa Bianca, entrambi avevano voluto conoscere la tua storia e di quanto questa storia fosse legata al motivo per il quale la corsa è entrata nella mia vita.

Il Dega, che è un PRO si fa la 110k, è già partito, so che lo vedrò all’arrivo. Ne seguo il puntino muoversi sullo schermo al palazzetto e prima di partire continuo a chiedere all’Orso “Il Dega come è messo?”.
Adoro pensare che non sia un caso vivere questa cosa assieme a Raffaele, Forcella, Daniele e Dega, ritrovarmi qui, in questo palazzetto con loro, vivere con chi ha già vissuto con me questa avventura ed esserci ora con chi desiderava viverla ma non l’aveva ancora fatto ed è entrato nella mia vita solo nell’ultimo anno.

Ci spostiamo a Monno. Ricordo ancora quel paesino incastrato sotto al passo del Mortirolo, fatto di pietra, viuzze strette, lucine e vicoli bui. La partenza è la solita, sulla solita piazza, stanno allestendo, è presto.
Ci rintaniamo al Gatto Nero, l’unico bar di centro paese, ci sediamo e ordiniamo qualcosa da mangiare. Dani e Orso cercano di stemperare la situazione chiaccherando tranquilli, con qualche battuta.
Ma io sono già entrata nel mio mondo: sento e vedo tutto ovattato, come fossi dietro un vetro e al di là del vetro loro che attendono l’inizio dell’avventura.

Sono ferma nel mio mondo, a pensare se ho tutto, a pensare se non sia un cazzata chiedere al Nano di farsi 40k di notte sulla neve a 2000mt, a pensare se tu avresti condiviso la mia scelta, a pensare cosa mi avresti detto. Sento gli altri parlare ma è come se fossero nell’altra stanza da quanto fa casino il mio cervello. Mi chiedo se ne valga la pena, se questo fissarmi sul “chiudere il cerchio” sia una cosa di reale necessità o un capriccio che cerco di giustificare malamente. Sento la paura che sale, quella paura che sentivo forte nel 2018: mi dico che sono preparata, che so quello che sto andando a fare questa volta, so cosa incontrerò, so come affrontarlo. Mi dico che 40k sono una distanza consona a me e al Nano, anzi è la nostra distanza, cerco di convincermi che non devo avere paura ma devo essere entusiasta perché finalmente potrò mantenere quella promessa che ti avevo fatto.

Ti parlo. Ti chiedo di accompagnarmi, di seguirmi, di ricordarmi di mangiare, bere, controllare il Nano, non fare cazzate. Nel frattempo al mio tavolo, arriva il toast e la birretta, Dani e Orso continuano a parlare ma io sono da un’altra parte. Il locale si è riempito: ci sono sci, zaini, bastoncini, frontali accese ovunque. Si sente l’emozione sulla pelle, rimbomba dentro, tutti hanno una storia da raccontare, un motivo per correre, siamo in tanti e io resto sempre stupita di quanta gente pazza ci sia pronta a partire di notte per un’attraversata su neve di 40k.

Viga, è ora. Vado a prendere il Nano, lo imbrago, metto lo zaino, guardo l’Orso e gli chiedo se ho tutto, come suo solito mi risponde “tu lo sai!”, cerco conferme lui lo sa e sia mai che decida di darmene una.
Grazie per avermelo mandato. Lo odio quando fa così.

Ho le stesse snowcross ai piedi che avevo nel 2018 e la pressione dei tacchetti sulla pianta del piede a contatto con il porfido delle vie di Monno è la stessa di 5 anni fa: solo che 5 anni fa era nuova, oggi è una sensazione che conosco bene. La musica sale avvicinandosi alla piazza, lo speaker parla e condisce un’atmosfera già carica di suo, i cani abbaiano, Rufio (il Cattle di Raffaele) abbaia.

Guardo il cielo, nonostante le luci del paese, si vedono le stelle nitide, è una notte fantastica. Decido di non usare la museruola nonostante il Nano non sia propriamente a suo agio, mi dico che correrò in salita per superare la massa e trovarci uno spazio con poca gente dove il Nano sia tranquillo.

Sale. Sale ancora….e boom si parte.
Saluto l’Orso, mi dice “andrà tutto bene”, mi da conferme quando non le cerco. Lo amo.

Sono vestita poco? Dani è vestito più di me, avrò freddo?
Sento il cuore andare veloce, rimbomba dentro la cassa toracica, è la fatica o l’emozione, non lo so. Il fiato è corto, sento Rufio abbaiare, supero a destra, poi a sinistra, la strada si stringe, la gente saluta. La strada si stringe ancora, le bici faticano a salire, scendono e spingono, quelli con sci, portano un peso abnorme penso. I cani abbaiano, io salgo e salgo ancora. In realtà abbaia solo Rufio.

Sbuchiamo sulla strada innevata, la massa è dietro e cominciamo a respirare, il Nano è più sereno, bastoncini e che l’avventura abbia inizio.
8h e 30 min, penso, è quello che ci metterò e come al solito comincio a ragionare su tutte le cose che potrò pensare, elaborare, creare in 8h e 30 minuti. Guardo il cielo, incorniciato tra gli alberi illuminati dalla frontale: è stellato.

Nel 2018 alla partenza nevicava, oggi no. Oggi è freddo e il cielo è stellato, l’aria tersa, la luce della luna in calare illumina le punte degli alberi sul sentiero che sale. E sale, sale eccome sale. Non sono tranquilla, sta cosa è un tormento, questo continuo chiedermi se sto facendo la cosa giusta, se ce la faremo, se andrà storto qualcosa come l’ultima volta. Continuo a chiederti di mettere a tacere questi pensieri, continuo a ripetermi che ci sono, so quello che faccio e so come affrontarlo. Razionalmente lo so: distanza e dislivello sono fattibili per me e per il Nano, le condizioni sono ottime, il meteo perfetto, la neve pure. Di cosa potrei aver paura? Cosa potrebbe realmente andare male? Eppure la sensazione non mi abbandona. A tratti mi stringe i polmoni come una spugna strizzate in una mano, a colpi mi toglie il fiato. Mi chiedo perchè.

Non riesco ad elaborare e la fatica si confonde con l’ansia e il malessere mentale, cosi continuo a macinare con la testa e meno con le gambe. Da dietro sopraggiunge qualche sci alpinista, il tracciato comincia ad essere innevato e alcuni provano a togliersi il peso dalla schiena e metterlo sotto i piedi. Guardo in alto gli alberi son più larghi e bassi, c’è più neve… siamo quasi in cima. La mia mente si rilassa, la neve si fa più fonda e d’improvviso usciamo dal bosco, sembra un grande pianoro fatto di pascoli e vallette con qualche malga, attorno la meraviglia. La luna illumina le cime circostanti, sembrano disegnate con l’indelebile su un vetro blu scuro. Alzo gli occhi e ti saluto, le birre con quello in poltrona non devono essere solo due e la chiaccherata a quanto pare si è fatta interessante.

Sul pianoro respiro, chiedo al Dani se è tutto ok, mi dice di si. Poche parole ben assestate per dire “corriamo”.
Il falsopiano, le leggere salite, le dolci discese e la neve perfetta ci invita a corricchiare verso le lucine che vediamo giù in fondo: “che sia il Rifugio Mortirolo quello?” chiede il Dani “credo di si, ma non conosco la zona”. In breve siamo al Rifugio, primo check-point veterinario per controllare se il Nano sta bene. Qualche noce, un te caldo, ricarico di acqua e via. Ho ancora i guantini leggeri, sento il freddo sulle mani, me ne tolgo uno nel tentativo di cercare una barretta. Errore.

In meno di 30 secondi mi si congelano le mani, aghi mi penetrano la carne e le punte delle dita saltano. Ragiono velocemente, o almeno ci provo. Le moffole appese allo zaino, le prendo, ci infilo le mani con i guantini, attendo, niente non passa. Nel frattempo Dani è nella mia stessa situazione. Cerco di distrarmi, il Lago del Mortirolo non l’avevo mai visto: la montagna crea un anfiteatro dietro al lago completamente coperto di neve, le creste puntano in alto e tagliano il cielo blu intenso puntinato di lucine bianche.
Ho un ricordo, non so se sia reale: mi avevi raccontato forse di essere salito quì con Forcella, di averlo visto con la luce, me lo avevi forse descritto e nella mia testa si era creata un’immagine di questo luogo. In verità è più bello di quanto immaginassi, penso all’Orso, a lui piacerebbe un sacco, fa tanto Lagorai, è aspro e selvaggio, crudo a vederlo cosi.

Tolgo i guantini e metto le mani nelle moffole, movimenti complicati ma le mani finalmente si scaldano e la mia mente si rilassa. Imparo così la prima cosa che pensavo di sapere: il cervello ragiona male al freddo, va istruito a pensare in maniera essenziale e funzionale, per scale di priorità. Pochi pensieri ma buoni.

Si sale ancora. Rido guardandomi attorno, perchè non sono a casa e non conosco ciò che mi circonda: dico al Dani che ci dobbiamo tornare con l’Orso e Roby così ci guardiamo attorno e cerchiamo di capire cosa ci circonda. Creste taglienti sembrano formare un cerchio attorno a noi e ovunque ti giri vedi pareti bianche scoscese e profili decisi sul blu del cielo. Ci si stacca, Dani è più veloce io sono un pò più lenta ma sto serenamente nei miei pensieri: controllo il Nano, prendo un gel, mi guardo le spalle, siamo soli. Finalmente.

Vedo il sentiero che sale dolce sul versante della montagna sul lato apposto della Valle, vedo le lucine che si muovono sul bianco candido della neve. Siamo soli e respiriamo, il Nano finalmente se la gode, alza il naso e si guarda attorno. E’ Freddo, parecchio, ma si sta bene. Un passo davanti all’altro, ci godiamo il momento: ti sarebbe piaciuto e non saresti stato zitto un secondo, ti avrei odiato. Ad una certa ti avrei detto “oi Viga, te si mia bon a tazer un poco?” saresti rimasto zitto per 5 minuti e poi avresti ripreso. Rido, guardo su e ti sento, sei quì con me al Pianaccio, che cammini al mio fianco verso Malga Salina.

Malga Salina è il punto di non ritorno. Quando faccio delle gare mi fisso sempre un punto dal quale non posso più tornare indietro: arrivare a quel punto significa che da lì in poi ci si può vedere solo all’arrivo. Alla Ultra Dolomites era Passo Giau, quì è Malga Salina, dove quasi tutto il dislivello è bruciato e punto dal quale si comincia a scendere e quindi le criticità portate dalla neve vanno a scemare.

Il Nano alza una zampa e pigola. Me lo fa capire che le zampe si stanno ghiacciando.
Pochi pensieri ma buoni, pensare per scale di priorità: potrei tirare fuori i booties, ma sono nello zaino, è freddo, mi congelerei le mani nuovamente. Prendo la zampa ci sputo sopra massaggio e siamo ok.
Ripeto l’operazione ogni volta lui mi da il segnale e si prosegue. Pochi pensieri ma buoni.

Ci godiamo la leggera salita immersi in un paesaggio che richiama le grandi distese del Nord, che non ho mai visto, ma a stare quì ora capisco quando mi parlavi della tua esperienza con Maffi al Nord. Maledetta quella volta, dovevo venirci anch’io e ho desistito. Fa freddo lo so, ma non lo sento e il Nano viaggia sereno. All’ultimo spunta Malga Salina, le tende dell’organizzazione e il piccolo ristoro allestito all’interno della Malga. Salutano, mi chiedono il numero di pettorale, si sincerano che sia tutto ok. Tutto perfetto rispondo, siamo già quì non potrebbe andare meglio. Dani è dentro. Lego il Nano, lo faccio bere e gli do il suo hamburgher. Entro veloce, mangiamo qualcosa, un te caldo qualche chiacchera sul cane e via leggeri, che più ti fermi più difficile è ripartire. Ho il terrore di fermarmi troppo, raffreddarmi e bloccarmi definitivamente. Nel 2018 sono rimasta più di mezzora dentro ad una Malga, abbiamo perso il cancello successivo. Pensieri semplici ma buoni.

La discesa è comoda, morbida, sappiamo di aver ancora un ultimo pezzetto di dislivello positivo prima di Malga Valgrande, ma per ora si perde quota velocemente. Siamo ancora tra altissime creste, le valli scendono a picco e il bosco sale piano piano. La neve diminuisce, il ghiaccio ricopre il sentiero. Ramponcini e via. Siamo presto fuori dalla quota neve, siamo già verso Locanda Valgrande. Il tracciato prevede di percorrere tutta la Val Grande fino alla Malga per poi tornare indietro e rientrare a Vezza D’Oglio. Scartiamo Locanda Valgrande, e proseguiamo verso Malga Valgrande, le ragazze della locanda escono e ci chiedono il numero pettorale. Proseguiamo.

La Val Grande è larga costeggiata da alte pareti innevate, prima coperte di boschi che salendo si diradano. Ricordo di aver chiesto anni fa a Francesca dei giri in zona, e leggendo i cartelli mi torna in mente il Bivacco Occhi, ce l’ho segnato tra gli appunti, dovevamo andarci assieme. Son quì ora, Viga. Ormai è fatta.

Il caffè dei ragazzi di Malga Valgrande mi da una nuova carica, scendiamo veloci, ripercorrendo la valle a ritroso, è ancora buio, razionalizzo che arriveremo col buio, Non vedrò l’alba e non ti saluterò come l’ultima volta con il sorgere del sole. La discesa è comoda le gambe vanno, prima della Locanda tagliamo sul lato opposto della valle ed entriamo in bosco. Il Nano va che è un piacere, siamo oltre i 30k e corre, leggero, trotterella ma costante, non dà segni di affaticamento.

E niente Viga, ce la siam mangiata questa Corsa Bianca. Scendo col sorriso pensando che ce la saremo corsa assieme se tu fossi ancora quì, ma in realtà forse lo abbiamo fatto lo stesso. Dopo le prime ore ho smesso di guardare l’orologio, di guardare i km, di pensare a quanto ci avrei messo ad arrivare al traguardo e abbiamo parlato, ti ho ricordato, ti ho pensato. Questa Corsa Bianca è tua: l’ho corsa per te e per il Nano, volevo arrivare alla fine con voi.

Entriamo a Vezza D’Oglio, dallo sterrato passiamo all’asfalto, le vie si stringono le prime case scorrono veloci affianco a noi. Dall’alto vediamo le luci del palazzetto. Sull’ultima discesa compare la scritta La Grande Corsa Bianca, il fuoco è acceso appena dopo l’arrivo, l’Orso ci saluta da lontano. Dani ci lascia passare. 7 ore e 30 minuti.

Ed eccoci quì. Sulla linea del traguardo della GCB, 5 anni dopo, con 25 cm di zampa e 10 anni, in due anzi in tre. Abbraccio il Nano, lui lo sa quanto ci tenevo e ha tenuto duro fino alla fine, regalandomi la magia di condividere un’avventura, l’ennesima, con l’amico più grande che ho.
Il mio amico è stronzo, ma non lo cambierei con nessuno.

Viga, grazie, perchè io non sapevo 5 anni fa di essere in grado di fare tutti questi km, non sapevo di poter rimanere cosi tante ore fuori in mezzo alle crode, non sapevo che mi sarei innamorata di tutto questo. Già amavo la montagna, ma le lunghe distanze, i dislivelli e le ore sono aumentate negli ultimi anni.
Grazie Viga, perchè hai lasciato un seme che io ho cresciuto, con calma come mio solito. Ora, quì con me ci sono un sacco di amici che amano le cose lunghe e le ore tra le crode, non so se li hai mandati tu, ma se lo hai fatto grazie, ancora.

Ho chiuso il cerchio e ti saluto, ti saluto davvero questa volta: verrò a trovarti sulle cime, starò con te nei miei lunghi estivi, ti cercherò tra le mie crode e magari anche quì in zona, questa estate. Non dimenticherò il regalo immenso che mi hai fatto, la motivazione che mi hai dato.

Non dimenticherò che tu credevi in me prima che io ci credessi davvero in me stessa.
Fidati Viga, non lo dimenticherò.

Grazie.

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